“Bisognerebbe fermare il mare”, afferma ironico ed esausto Danilo, quarantaquattro anni e trenta trascorsi a pescare in mare o nello stagno di Cabras, seduto ora nell’automobile ad aspettare il cambio della guardia.
“Bisognerebbe fermare il mare”, afferma ironico ed esausto Danilo, quarantaquattro anni e trenta trascorsi a pescare in mare o nello stagno di Cabras, seduto ora nell’automobile ad aspettare il cambio della guardia.
“Stiamo facendo respirare lo stagno. Tutti i lavorieri sono aperti. Abbiamo visto i muggini entrare, soprattutto la notte e la mattina presto, ma è difficile dire quanto pesce avremo quest’anno, e quando potremo riprendere completamente l’attività”, racconta Alberto Porcu, presidente della cooperativa pescatori Sant’Andrea di S’Ena Arrubia.
Il canneto è d’oro nella prima luce del mattino. Intorno resiste ancora, effimero, il grigio metallico dell’alba. Una pozza d’acqua circonda l’esile tronco di un giovane albero, là dove la piccola massicciata si solleva per diventare il sentiero, separato nei solchi del camminamento da una lunga striscia d’erba. Uno stormo di pavoncelle passa fluttuando nelle sue morbide esitazioni.
Il piccolo fuoristrada si inoltra nel tratturo che accompagna le sponde della laguna di Mistras. Passano i canneti, le salicornie, sfilano gli alberi in un rettilineo ombroso. Poi il passaggio si spalanca nello specchio d’acqua appena sfocato dal maestrale. La moltitudine rosa dei fenicotteri contribuisce a puntellare l’illusione di immobilità. La posta viene interrotta dal passaggio del falco pescatore, che attraversa l’azzurro freddo di gennaio superando il primo e il secondo posatoio.
Scendiamo con cautela, in silenzio, tutti dalla parte del conduttore. Alle spalle una antica casa abbandonata e una pineta. Oltre lo schermo delle automobili un declivio sul quale d’estate poggiavano grandi covoni di grano, come un monumento diffuso. Il verde dell’erba umida è interrotto dai cespugli e dalle raggiere secche di giunco, più numerose con l’approssimarsi alle sponde dello stagno.
“Trenta anni fa lo stagno era come una foresta. La pineta in fondo, e tutte le piante possibili qui intorno. Soprattutto la tifa. Era altissima, avevamo creato dei passaggi per muoverci da un posto all’altro della peschiera. E la fauna poi. Mare e stagno erano ricchissimi. Prima che la siccità cambiasse tutto pescavamo carpe di venti chili.