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I pescatori dello stagno di S'Ena Arrubia scommettono sull'innovazione per tutelare ambiente lavoro

“Trenta anni fa lo stagno era come una foresta. La pineta in fondo, e tutte le piante possibili qui intorno. Soprattutto la tifa. Era altissima, avevamo creato dei passaggi per muoverci da un posto all’altro della peschiera. E la fauna poi. Mare e stagno erano ricchissimi. Prima che la siccità cambiasse tutto pescavamo carpe di venti chili. Pescavamo tutto l’anno, non solo fra maggio e dicembre. Ma non solo pesci. Un falco pescatore per anni ci ha osservato lavorare, poggiato su quel palo laggiù. Poi è sparito. Quante soddisfazioni mi ha dato questo lavoro. Io sono un fanatico della natura. Avevamo una tenda tenuta su da un palo soltanto. Dormivamo qui tutta la notte. Vigilavamo sulla pesca di frodo. Era molto più difficile sorprenderli. Questo posto era davvero una foresta. Ci alzavamo presto per uscire in mare o per la pesca nei lavorieri, allora erano fatti di canne. Quante difficoltà, però. Ricordo l’alluvione del 2013. Quei tre giorni spazzarono via tutto”.

Giuseppe Vacca è stato presidente della cooperativa Sant’Andrea per quattordici anni, fino al 2011. Negli anni, il gruppo fondato da terralbesi si è popolato progressivamente di uomini di Marrubiu, gli stessi che, ancora forti nei corpi invecchiati, dividono davanti alla casupola coperta di falasco i pesci per specie e peso. Molto è cambiato dai tempi in cui la vegetazione prorompeva selvaggia. La febbre del clima e del mercato ha toccato anche S’Ena Arrubia, le anse che si tingono di rosso con l’incendio del tramonto. Come se il rito antico della pesca non sapesse più rispondere alle nuove divinità moderne. Per questo “abbiamo voluto questi ragazzi. Sono diplomati, laureati. Mi ci metto in mezzo anche io, dobbiamo abbandonare la vecchia mentalità” dice Giuseppe.

“Hanno insistito così tanto che dopo tre mesi ho ceduto” continua il racconto Alberto Porcu, 36 anni, il nuovo presidente della cooperativa. “Sono entrato nel marzo di quest’anno, non avevo mai fatto il pescatore. Lavoravo e ancora lavoro in un supermercato. Mio fratello Alessandro, un ingegnere informatico, è il responsabile amministrativo. Ci hanno aiutati a capire il mestiere molto in fretta, e ancora dobbiamo imparare tantissimo. Purtroppo l’inizio non poteva essere più complicato di come è stato. Dopo pochi giorni abbiamo subito dovuto affrontare una vera e propria crisi”.

La prima moria di pesci ha avuto luogo a fine giugno, e ha portato alla perdita di tutti gli avannotti di spigole e orate. La seconda è seguita appena una settimana dopo. Il colpo di grazia è arrivato a metà luglio, con la scomparsa pressoché totale della fauna ittica. “È intervenuta la Guardia Forestale, i tecnici dell’ARPAS (Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente) e dell’AGRIS (Agenzia Regionale per la Ricerca in Agricoltura). I ragazzi dell’IMC (Centro Marino Internazionale) hanno fatto tutte le analisi. Nella punta del porticciolo l’ossigeno è stato registrato a 0,2. Quasi assente. Immagina nello stagno. Abbiamo perso tutto”, spiega Alberto. “Le ragioni sono diverse. L’acqua che arriva dall’idrovora Sassu non è decantata, complice un tubo rotto nella zona di Sant’Anna, che adesso grazie al Consorzio di Bonifica verrà aggiustato. Le condizioni nello stagno sono cambiate così radicalmente che oggi fatichiamo a trovare i pochi grammi di arselle che servono alla ASL per le analisi che garantiscono la qualificazione delle acque. Anni fa i ragazzi riuscivano talvolta a fare reddito solo con le arselle. Ma allora non esistevano tutte queste alghe. Con la decomposizione bruciano tutto l’ossigeno”.

Non aiutano i portinelli, alcuni restano chiusi e impediscono il ricambio d’acqua fra mare e stagno. Il passaggio dei pesci con le maree è poi disturbato dal moto costante dei natanti: “Qualche domenica fa abbiamo contato 57 carrelli, cioè 57 barche che attraversavano la bocca dello stagno”. Nonostante tutto i venti soci della cooperativa resistono, ogni giorno tornano in peschiera per limitare il disastro. Sono le otto del mattino. Marcello e Renato tornano dai calici, grandi trappole triangolari nella struttura dei lavorieri dove si agitano ribelli i muggini scampati alle reti. Mostrano raggianti un esemplare di quasi cinque chili. Nel cesto un granchio reale dalle

chele blu, specie aliena proveniente dal nord America. Lungo la corda a filo d’acqua che regge la grande rete mediana si accumula sospinta dalla marea una schiuma marroncina. Nella casa di falasco Giancarlo sventra gli esemplari dalle pance rigonfie: il coltello incide verticalmente, la mano estrae un cuore giallognolo, la massa compatta delle uova che daranno bottarga. Il furgone è pronto a partire per la vendita ai commercianti.

“Stiamo cercando di recuperare così, con la bottarga. Vendiamo pesci e uova ai produttori, o le dividiamo fra i soci. I muggini sono in ritardo. Anni fa, mi dicono i ragazzi, in questo periodo il passaggio si era già concluso. Tutto sta cambiando”, afferma Alberto. Non solo in peggio, tuttavia. L’entusiasmo di Alberto e suo fratello Alessandro ha fatto in modo che il progetto del 2008, affossato dalle complicazioni burocratiche, sia stato rispolverato e portato a compimento. Nella casa di falasco sorgerà, probabilmente l’anno prossimo, un ittiturismo. Quaranta posti a sedere e altri sotto il pergolato. La casa del guardiano ospiterà invece un chiosco, l’unico servizio nel raggio di tre chilometri. I turisti potranno fare un giro in barca sulla costa, conoscere la pesca a reti che gli uomini della cooperativa conducono sui vecchi “ciu”, le barche a fondo piatto ormeggiate adesso nel piccolo molo.

“Abbiamo tante idee, una è quella di tentare l’allevamento delle ostriche. E di creare un marchio IGP per il nostro muggine. Ma soprattutto pensiamo a un’azione sinergica portata avanti con le istituzioni e gli altri attori economici presenti sul territorio, affinché lo sviluppo, il passaggio dai vecchi ai nuovi modelli di produzione, possa avvenire secondo criteri di sostenibilità ambientale. Dobbiamo fare in modo che questo mestiere non sia più stagionale, ma possa garantire un piccolo introito costante a tutti”, spiega Alberto, che aggiunge: “Questo mestiere non deve essere sostituito. Anche se sono arrivato da poco, come gli altri mi sento parte dello stagno. Stanotte, uscito dal supermercato sono venuto per un controllo. Non si sa mai con i pescatori di frodo. Questa è casa nostra. A volte mi sdraio sul fondo della barca e guardo il cielo. È difficile da descrivere. Ti liberi da tutti i pensieri. Sento ogni cosa”.

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