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Responsabilità e speranza, la pesca in laguna ai tempi del coronavirus

“Stiamo facendo respirare lo stagno. Tutti i lavorieri sono aperti. Abbiamo visto i muggini entrare, soprattutto la notte e la mattina presto, ma è difficile dire quanto pesce avremo quest’anno, e quando potremo riprendere completamente l’attività”, racconta Alberto Porcu, presidente della cooperativa pescatori Sant’Andrea di S’Ena Arrubia.

La cautela ha prevalso e la cooperativa ha deciso di non dare avvio, come previsto per il 1 aprile, alla pesca di anguille e granchi. “Troppo rischioso, dobbiamo prima di ogni altra cosa rispettare i decreti del governo e tutelare la nostra salute”, dice Porcu. Così i pescatori dello stagno di S’Ena Arrubia si dedicano alla pulizia delle griglie, a scandagliare il fondo in cerca dei sedimenti che potrebbero ostacolare l’attività, quando questa potrà finalmente riprendere.

Qualcuno, sporadicamente, esce per mare. Gli altri si dedicano alla manutenzione delle attrezzature, spianano le fanghiglie, organizzano i gruppi che a maggio potrebbero ritrovarsi a operare secondo le nuove normative imposte dalla pandemia, tengono sotto osservazione la crescita dell’ulva, l’alga che l’anno scorso, fra giugno e luglio, contribuì a determinare una moria capace di mettere a serio rischio la stagione lavorativa. “Si trova là, al centro dello stagno, sta germogliando” spiega Alberto al telefono, mentre cerca la macchia verde con lo sguardo. Tutte le pratiche che avrebbero dovuto mettere la cooperativa nelle condizioni di avviare a luglio le attività di ittiturismo sono bloccate. Per la pesca in laguna il periodo che va da aprile a settembre è fondamentale per il reddito dell’intera annata. Quasi tutti i soci della cooperativa hanno nella pesca l’unica fonte di introiti.

Non è diversa la situazione nello stagno di Santa Giusta. Anche qui la cooperativa non può beneficiare dell’apertura della pesca ai granchi e all’anguilla. “Tutto il comparto è fermo, pescherie, ristoranti, nessuno rischia di investire su merce deperibile. Veniamo due o tre giorni a settimana, peschiamo ciò che serve per la famiglia, sistemiamo l’attrezzatura, facciamo nuove reti. Pochi escono in mare”, afferma Marco Pili. Anche Marco assiste con speranza alla “montata” del novellame, dal mare allo stagno.

Con ogni probabilità sarà impossibile quest’anno per Santa Giusta organizzare la celebre regata de is fassonis, la competizione che da quaranta anni anima il paese e chiama migliaia di turisti ad ammirare la competizione sulle basse acque dello stagno. Marco Pili e suo figlio Davide sono maestri di costruzione e conduzione degli splendidi natanti neolitici. Per tre mesi, d’estate, educano nella scuola voluta dal comune bambini e adolescenti all’intreccio del fieno palustre, alla navigazione con remi e pertica. Per quest’anno erano previste nuove regole che avrebbero reso la regata ancor più competitiva e avvincente, la probabile prima partecipazione di una ragazza. “Dobbiamo rispettare le regole il più possibile, per il bene di tutti. Sarà complicato organizzare un evento al quale prendono parte così tante persone. Saremo preparati per l’anno prossimo”, dice sicuro Marco. Nel frattempo uno dei suoi fassoni ha trovato un impiego altrettanto nobile, diventando il simbolo di una iniziativa di solidarietà promossa dai pescatori dell’oristanese e rivolta ai colleghi lombardi, travolti dal Covid-19.

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