La quiete magica di Riola Sardo è annunciata dallo scorrere lento del Rio Mare Foghe e dai campi di lavanda, vasti frammenti scuriti del cielo turchese sui cui passano rare le nuvole grandiose.
“Le zone umide sono parte della nostra identità culturale e della nostra economia”, spiega l’assessore alle attività produttive Lucia Sanna. Fuori, a presentare il piccolo edificio del comune, due riproduzioni di marmo dei giganti di Mont’e Prama, avvolti nella luce primaverile. “Appena insediati, nell’estate del 2018, abbiamo subito deciso di sposare il progetto Maristanis, convinti dall’entusiasmo della Fondazione MEDSEA, e dall’opportunità di sviluppare in maniera sostenibile il grande potenziale rappresentato dalla natura che circonda Riola”, continua Sanna. “Talvolta trascuriamo le nostre risorse”, concede il sindaco Mauro Saba, portando ad esempio l’attività dei canoisti. Non solo sportivi da tutta Italia che hanno scoperto il Rio Mare Foghe per caso, o grazie al passaparola. Anche la nazionale italiana di kayak, allenata da Stefano Loddo, prepara le Olimpiadi di Tokyo nello splendido scenario del fiume.
Nello stagno di Istai lavorano i diciotto pescatori della cooperativa di S. Andrea, impegnati da qualche tempo nell’elaborazione di un progetto legato all’allevamento delle orate. Molto è cambiato negli ultimi anni. Gli interventi dell’uomo hanno modificato i fragili equilibri ecosistemici, e non è insolito che anguille e muggini disertino lo stagno. Anche la ricchissima fauna aviaria è stata condizionata. “L’ultimo avvistamento del Gobbo rugginoso a Istai è stato dieci anni fa” ricorda il sindaco Saba.
La storia accompagna la natura a Riola Sardo. La zona registra la presenza umana fin dall’epoca prenuragica. Il periodo medievale, durante il quale il centro fu parte del Giudicato d’Arborea, ha lasciato in dono la chiesa di Santa Corona, costruita fra XII e XIII secolo e come hanno dimostrato alcuni studi recenti appartenente all’ordine dei templari. Per la festa di Sant’Anna, in luglio, ciò che è rimasto della navata centrale ospita mostre e altri eventi culturali. Dopo il 1750 Santa Corona venne abbandonata e molte parti della chiesa furono utilizzate per decorare la facciata delle case, sulle quali ancora oggi si possono scorgere simboli religiosi e templari. Il “sentiero” delle pietre sacre conduce alla chiesa di S. Martino, costruita su una preesistente struttura romanica del XVI secolo. All’interno, il crocefisso del settecento a grandezza naturale e poche donne anziane raccolte in preghiera. Il mezzogiorno rintocca negli antichi ferri del campanile.
Ma la storia non è solo monumento, e basta bussare alle porte per assistere allo spettacolo della tradizione che continua. La casa di Elvio Sulas, che vuole diventare museo d’arte contadina, contiene negli oggetti la stratificazione del tempo: la pressa per l’olio del ‘500, il telaio del ‘700, le giare riparate con “su girabarchinu”, rudimentale trapano d’inizio ‘900 ispirato, sostiene Sulas, a un principio dinamico già noto alla civiltà nuragica. Le testimonianze della cultura materiale continuano nelle bacheche della cantina, dove dalle grandi botti stilla l’oro diafano della vernaccia. Appartengono a Sulas i campi di lavanda che conducono al paese. In giugno comincerà la raccolta, e l’olio diventerà essenza e sapone. Solo uno dei tanti colori di Riola. Spesso i fenicotteri scelgono il piccolo stagno di Pauli Trotta, riempiendo le sue sponde irregolari di una miracolosa moltitudine rosa.
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