Previous Next

Attraversare la verità storica: una giornata d'autunno FAI ad Arborea

I neofiti scendono con riluttanza gli scalini che danno accesso al lavoriero, la gabbia in cui vengono intrappolati i pesci. L’acqua torbida segna la profondità sulle magliette. I pescatori li aiutano ad accogliere la rete, che Paolo dipana e porge dalla sponda rialzata. Su pezzu, la rete attraversata agli estremi da fini tronchi di legno e misurata secondo l’antica tradizione con i passi, diventa fra le braccia sospese al busto un velo di raccolta concentrato nell’estremità della V dove termina uno dei segmenti convergenti della camera di cattura. Seguendo le indicazioni gli apprendisti si dispongono sui due lati e al centro, svolgendo su pezzu in una larga mano reticolata che all’incedere della squadra, diffusa ad intervalli regolari, rastrella e trascina i pesci. A un palmo dalle loro teste un’altra rete “La verità/sta/nelle sfumature”. “Un uomo è sempre preda delle proprie verità. Quando le abbia riconosciute, egli non è capace di staccarsene”. E ancora: “A volte l’uomo inciampa nella verità, ma nella maggior parte dei casi si rialzerà e continuerà per la sua strada”.  

Comincia così, con Bukowski, Camus e Churchill, fra gli altri, il battesimo delle giornate d’Autunno FAI ad Arborea, dedicata “alla ricerca della verità storica”. Davanti al municipio due volontarie leggono alternate gli aforismi all’ultimo turno dei visitatori. Scende il crepuscolo e sui bordi dei viali che formano la scacchiera del paese, fondato nel 1928 con il nome “Mussolinia di Sardegna”, planano lente le foglie.  

LA STORIA DELLA BONIFICA 
La prima tappa è poco distante. Davanti al busto dell’ingegner Giulio Dolcetta il professor Leonardo Mura racconta l’epopea della bonifica, l’intuizione del socialista sindaco di Terralba e poi deputato regio Felice Porcella, le battaglie politiche e il connubio con Dolcetta, ingegnere della Società Bonifiche Sarde e demiurgo del poderoso progetto che in epoca fascista trasformò l’immensa zona umida in una pianura fertile per agricoltura e allevamento, che avrebbe reso Arborea uno degli angoli più ricchi e produttivi dell’isola. Curare “la malaria del corpo e dello spirito”, questo lo scopo dell’ingegnere veneto e di Porcella, entrambi imbevuti d’egualitarismo tardo ottocentesco, quella piètas rivolta ai “miserabili” che negli stessi anni avrebbe ispirato nell’ingegner Conti Vecchi la trasformazione di un segmento dello stagno di Molentargius a Cagliari nelle saline che ancora oggi producono il prezioso oro bianco. Per l’appoderamento non erano adatti tuttavia i sardi, privi del sentimento profondo che guida l’intraprendenza mezzadrile. Gli interpreti del bonario colonialismo dolcettiano furono i contadini veneti, che approdarono a Mussolinia a partire dal 1928. Solo nel 1954, dopo molte battaglie, ottennero di diventare proprietari, come promesso dall’ingegnere.  
Nel gonfalone che sventola dalla facciata del municipio, equilibrato eclettismo di neorinascimentale e liberty, ancora campeggia lo stemma Savoia. Dal balcone ebbero modo di parlare al piccolo popolo di Mussolinia Umberto II e Adalberto duca di Bergamo. Nelle sue visite il duce preferì la Casa del Fascio per i suoi discorsi infuocati. In epoca repubblicana vi si affacciò Fanfani, colpevole di esitare sui passaggi governativi che dovevano rendere i mezzadri proprietari, e per questo fischiato dal pubblico. Lo stile liberty caratterizza in continuità anche l’adiacente villa del direttore. La giornata di visite del FAI ci dà accesso al giardino retrostante, un vasto spazio di crescita floreale rigogliosa e disordinata sulla quale domina un vecchio e vasto albero di canfora che proietta le gemme nuove oltre il muro di cinta. 

VISITA ALLA VILLA DOLCETTA 
Gli alberi monumentali popolano anche il giardino della poco distante la “Villa Dolcetta”, uno dei monumenti più noti della bonifica, altro equilibrato esempio di eclettismo, con lo stile rinascimentale attraversato dagli elementi funzionali della barchessa veneta. Al primo piano lo studio dell’ingegnere resta immutato, la scrivania, le foto delle montagne venete, la sala da biliardo. Nel 2018 l’edificio è stato acquistato dalla Banca di credito cooperativo di ArboreaAl termine dei lavori di restaurazione, piccoli accomodamenti posticipati a causa della pandemia, alcuni uffici della banca dovrebbero essere traslati al terzo piano. La dirigenza ha tuttavia promesso, con le dichiarazioni  rilasciate all’atto dell’acquisto, che la struttura, e soprattutto il giardino, resteranno fruibili per la popolazione. Impossibile visitare il magazzino che sotto il porticato ospita diverse motociclette d’epoca e un furgone dalla significativa targa n°7.  
Ad aspettarci fuori, letta ancora dalle volontarie, un’altra storia di Arborea, contemporanea, organica e opposta a quella emanata dalla villa. È la memoria di Elsa Pinoscittadina, tratta dai “Quaderni di storia di Arborea”: “Mia mamma aveva appena 19 anni e la zia Regina era di tre anni più giovane. Si sono cambiate in treno, mia madre con un vestito rosa, mia zia un vestito bianco. Quando il treno si ferma a Marrubiu loro si aspettavano una bella stazione e invece guardano fuori e vedono una grande desolazione. Qui trovano i delegati della società che le accompagnano in bonifica su un carro di buoi. Lungo la strada nemmeno un filo verde, neanche un albero. Ovviamente erano tutti delusi. Non solo, la nostra casa non era ancora finita e neanche il podere: era tutta una palude”.  

IL MUSEO DELLA BONIFICA 
 Ormai è notte, passiamo di fronte al MUBA, il museo della Bonifica, per raggiungere chi illustra la storia del vecchio mulino e del silos. Deve cercare la luce dei lampioni per agganciarsi agli appunti sul taccuino. Poca la distanza fra le due strutture. Un tempo dai dodici silos (attraversati dal primo montacarichi mai allestito in Sardegna) partiva un nastro che conduceva il grano alla macina. Della vecchia avanguardia resta ora l’alta struttura di mattoni e ferro arrugginito, in tutto il suo decadente fascino d’archeologia industriale 

CASA DEL BALILLA E DEL FASCIO 
L’ultima tappa è dedicata alla casa del fascio e alla casa del Balilla, i piccoli capolavori dell’architetto Giovanni Battista Ceas, chiamato da Piero Casini, il nuovo presidente della Società Bonifiche Sarde, a dare ad Arborea la simbologia fascista cheDolcetta aveva scientemente ignorato. Un progetto avveniristico, mutuato dai grattacieli newyorkesi, quello di Ceas, che immagina per le due strutture del nuovo centro civico di Mussolinia uno scheletro di acciaio rivestito da lastre di marmo. Un esempio, spiega la guida del FAI, di “algido, colto razionalismo italiano”. La raffinatezza sostituisce la magniloquenza: la casa del fascio, con i suoi piani sfalsati, l’equilibrio fra vuoti e pieni, la torre con arco a tutto sesto disegnata per accogliere idealmente la torre di San Cristoforo, costruita in quella che oggi è piazza Roma a Oristano da Mariano II nel 1291. Ceas non pensa a obbligare lo spazio nelle rigorose linee imperiali, ma avvolge l’antico, lascia che il razionalismo moderno sublimi la tradizione localeCosì per la casa del Balilla, il luogo della cultura del corpo, ispirata alla villa romana e allineata nella parte basamentale agli edifici preesistenti, caratterizzati come il municipio dagli elementi rinascimentali. E l’impluvium interno, la splendida, vasta e diafana palestra, la piscina pensile all’esterno. Un quadro di De Chirico, sia canicola o notte.  
La sala dell’impluvium accoglie nelle pareti una mostra fotografica naturalista, allestita con gli splendidi scatti dei fotografi dell’AFNI, che ritraggono il raro patrimonio ambientale (soprattutto per ciò che concerne l’avifauna) delle zone umide che circondano Arborea, minima parte del paradiso precedente la grande operazione di Bonifica. A raccontarlo con un tocco di nostalgia Gabriele Pinna, ornitologo della LIPU di Oristano: “Oltre la strada che oggi separa l’idrovora Sassu e lo stagno di S’Ena Arrubia sdistendevano 150 acquitrini intercalati da dune. A sinistra, fino ad arrivare a Terralba e Marrubiu lo stagno di Sassu, ben più grande di quello di Cabras. La terza zona era quella del cosiddetto ‘Salto di Monte Arci’Centinaia di specie volatili, ittiche e anfibie. Una biodiversità monumentale, parliamo di 18.000 ettari. Qualcosa di non dissimile alla Camargue francese”.  
I PROSSIMI APPUNTAMENTI DEL FAI DI ORISTANO 
“Siamo felicissimi della giornata, è il nostro primo evento. Il nostro gruppo è nato appena quattro settimane fa”, racconta Bruna Bianchina, responsabile del FAI Oristano. Una sola giornata, quasi interamente vissuta all’esterno per rispettare la profilassi pandemica. “Su Arborea si sentono spesso giudizi stereotipati: è stata voluta da Mussolini, la bonifica non ha avuto nessun tipo di impatto ambientale, eccetera. Per questo il nostro concetto guida è stata la verità. Tutto ciò che avete sentito è un fatto storico dimostrabile con i documenti. La partecipazione è stata sorprendente. I sette turni da quindici persone previsti sono andati esauriti in una settimana. Ne abbiamo aggiunti due. Centocinquanta persone che credo abbiano trascorso delle ore interessanti. Soprattutto grazie ai nostri quaranta volontari, struttura portante del FAI. Il prossimo appuntamento? Le giornate di primavera” 

Foto di Copertina: Villa del Direttore, Arborea - FAI di Oristano 
 
 
 
© 2017 MEDSEA Foundation. All Rights Reserved.