L’edificio che ospita l’International Marine Center di Torregrande guarda alle anse d’acqua immobile che fra i giunchi ritrovano lo stagno di Cabras, alla peschiera di Sa Mardini affacciata sullo sbocco a mare, alla grande amigdala del golfo di Oristano. La geografia spiega la funzione. Non solo ricerca, monitoraggi, preservazione dell’ecosistema marino, ma didattica, comunicazione, dialogo e collaborazione costanti con il tessuto sociale ed economico del territorio. “Trasferire conoscenze e dare applicazione pratica alla ricerca è sempre stato uno degli scopi primari della fondazione, fin dalle sue origini, trenta anni fa”, spiega nel suo ufficio Stefania Pinna, ricercatrice e addetta alla comunicazione.
Il suo collega Dario Vallainc ha raccolto nello stagno i riproduttori selvatici di muggine, e alleva ora le larve in grandi vasche circolari, avendo cura giorno e notte di esemplari che devono crescere sani, migliorare nella capacità di sopravvivere. Gli avannotti prodotti nel primo anno di progetto sono già stati immessi in laguna all’interno di recinti e in questi giorni verranno rilasciati contribuendo a sostenere le popolazioni naturali. L’anno prossimo a Cabras verrà avviato il sistema di monitoraggio già operativo a Tortolì: un migliaio di giovanili (almeno 6 cm) saranno rilasciati nella prossima primavera e marcati con un microchip capace di lasciare traccia dei movimenti, di permettere l’osservazione dello stato di salute. Migliorare e ripopolare la specie significa evitare che le aziende locali vadano ad acquistare in Australia o Mauritania.
Nei grandi cilindri del laboratorio si agita l’acqua dove vengono allevate le alghe che servono a nutrire i rotiferi, dieta dei muggini in crescita, o le ostriche, curate nella prospettiva di permettere alle cooperative locali, come quella di S. Andrea e S’Ena Arrubia, di sperimentarne la coltivazione, potenzialmente di grande supporto alla sostenibilità economica in un’epoca dove i cambiamenti climatici alterano le condizioni dell’ecosistema rendendo fragili pesca e profitto. “L’acqua del mare sta penetrando nel sistema lagunare, determinando un aumento del grado di salinità dell’acqua. Alcune specie si addentrano per chilometri nei fiumi. Cambia la presenza delle alghe. L’equilibrio è notevolmente alterato”, afferma Pinna.
Solo parzialmente conosciute sono invece le cause della moria della Pinna Nobilis. Un’infezione cominciata nelle acque spagnole ha sterminato le “nacchere”, i più grandi filtratori del Mediterraneo. La malattia è multifattoriale, influiscono sicuramente le variazioni di temperatura e salinità, la presenza di metalli pesanti. L’organismo indebolito è così facile preda di batteri. Nell’Area Marina Protetta del Sinis-Isola di Mal di Ventre la presenza della pinna nobilis è ridotta a pochi esemplari. In passato erano migliaia. Oltre a purificare l’acqua le nacchere offrono l’esterno della loro conchiglia a micro organismi colonizzatori, mentre all’interno vive in simbiosi una specie crostacea. Dall’esigenza di comprendere e contestualizzare meglio la natura della moria è nato il progetto di “citizen science”. L’IMC ha creato una piattaforma online dove chiunque avvisti una pinna nobilis ha la possibilità di segnalarne la posizione. I ricercatori procederanno poi a verificare e valutare la condizione dell’organismo. Una cartografia che potrà permettere di analizzare e comparare la relazione fra esemplari e ambiente, coinvolgendo e al contempo sensibilizzando i cittadini, alcuni dei quali ormai non perdono occasione per immergersi e andare a caccia di nacchere in buona salute. Cinque esemplari vivi sono stati recentemente trovati nello stagno di Is Benas, uno dei gruppi di sopravvissuti più numerosi.
La pinna nobilis è solo una delle tante occasioni di coinvolgimento della popolazione nelle attività dell’istituto. Corsi di formazione, lezioni frontali con i ricercatori, seminari, la collaborazione con le università di Cagliari e Sassari, la summer school di acquacoltura, i moltissimi incontri con le scuole, l’area “Zoumate” presente al pianterreno, dove per i più giovani sono stati riprodotti ambienti marini e dove spesso c’è la possibilità di conoscere da vicino alcuni esemplari.
“Abbiamo il compito istituzionale di trasferire conoscenze e tecnologie che aumentino la consapevolezza e rendano un allevamento estensivo sostenibile”, afferma il direttore dell’istituto, l’economista Paolo Mossone. Il successo nella relazione con le cooperative è a macchia di leopardo, molti soggetti prendono parte alle iniziative ma solo pochi vanno fino in fondo. Esiste un conflitto generazionale dentro le cooperative, anche se l’esigenza di abbandonare i vecchi modelli di produzione per soluzioni più aperte, fruttuose e sostenibili è sempre più sentita.
“La nostra relazione con MEDSEA e il progetto Maristanis è costante, di piena sinergia e convergenza in una visione della sostenibilità che coinvolga sia l’aspetto ambientale che quello economico e sociale Coordinarsi è fondamentale, questo territorio ha bisogno di tutto, soprattutto di cultura. Maristanis da questo punto di vista è una ventata di novità, spesso noi dell’IMC ci troviamo a seminare sul terreno appena dissodato”.
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