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Il mondo negli occhi del falco: la fotografia di Alberto Cherchi

Il piccolo fuoristrada si inoltra nel tratturo che accompagna le sponde della laguna di Mistras. Passano i canneti, le salicornie, sfilano gli alberi in un rettilineo ombroso. Poi il passaggio si spalanca nello specchio d’acqua appena sfocato dal maestrale. La moltitudine rosa dei fenicotteri contribuisce a puntellare l’illusione di immobilità. La posta viene interrotta dal passaggio del falco pescatore, che attraversa l’azzurro freddo di gennaio superando il primo e il secondo posatoio.

Con la mano destra Alberto Cherchi accende il motore, ingrana la marcia e lo insegue sobbalzando fra le buche dello sterrato. Con la sinistra tiene la macchina dove il corpo si lega al teleobiettivo, un lungo cono mimetico che arriva fino alla spalla. Il falco sceglie il terzo legno piantato sul fondo. Sul filo del finestrino abbassato Alberto adagia ciò che è la trasfigurazione di un treppiede, un cuscino anch’esso mimetico di vaga forma triangolare, sul quale poggia l’obiettivo. Gli scatti si succedono con ritmo di mitraglia mentre immediatamente arriva un gabbiano, lento in circoli alla base del posatoio, pronto a raccogliere ciò che avanza della preda.

“Oggi è la seconda volta che mangia. Spesso i gabbiani non si limitano ad aspettare, ma fanno richiesta esplicita con un garrito”, spiega Alberto. Fra gli artigli il falco fa rilucere la piccola orata, piantato in equilibrio sul palo porta la testa viva al becco. In ogni immagine è magnificato un particolare dello splendido spettacolo predatorio: le ali spiegate o contratte, lo sguardo regale o buffo, un verso d’accusa o vittoria, le penne separate dall’acqua della picchiata che ancora mandano gocce intorno durante i rapidi movimenti del pasto. “Siamo stati fortunati- spiega Alberto- ieri ho dovuto aspettare per quattro ore prima di incontrare un esemplare. Poi, alla fine, dieci minuti di adrenalina e 1300 scatti”.

L’interesse per gli uccelli è nato nella prima adolescenza in Alberto, ma si è trasformata in passione solo più tardi, con le macchine digitali e i potenti teleobiettivi, oggi perennemente innestati. Poco spazio al grandangolo, dedicato perlopiù ai fenomeni atmosferici. La sua è una forma sublimata di caccia, un inseguimento dall’esito gentile. Nascondersi, farsi accettare, saltare su un camper e attendere per due giorni in un capanno il momento giusto. Anche se gli spostamenti non sono frequenti: “L’oristanese è attraversato dall’acqua. Dove c’è l’acqua esiste la vita, una vita che cambia costantemente con le stagioni”. I fenicotteri, le gru, i limicoli, le pivieresse, i piovanelli e nel il tripudio della primavera le rare pernici e le scontrose beccacce di mare.

Ma è la caccia al cacciatore che sembra entusiasmare più di ogni altra cosa Alberto, in costante contatto con gli inanellatori tedeschi per contribuire a inspessire attraverso le immagini la storia del vecchio viaggiatore G22, un falco che da venti anni attraversa l’Europa, unendo Oristano e la Sassonia. La giornata è benedetta, un altro falco passa in rassegna i posatoi. Alberto innesta la retromarcia e percorre a ritroso buchi e dossi. Questa volta la preda è un muggine. L’operazione sul palo è più complicata. Il pesce è stato afferrato per la coda e gli scatti ripercorrono le acrobatiche operazioni necessarie a portare gli artigli sulla testa. Alberto dialoga con la star come fosse in studio fra luci e pannelli riflettenti, la dirige quasi cercando di sollecitarne le movenze. Ride per un sussulto inaspettato. Anche l’occhio nudo registra adesso una macchia vermiglia nella piccola figura oblunga. Puntuale arriva il gabbiano per l’obolo. “Qualche tempo fa sono riuscito a ritrarne uno che aveva pescato un muggine enorme, avrà pesato 800 grammi. Per renderlo più affabile lo sbatteva sul cartello ‘divieto di pesca’ appeso al posatoio”.

Ci spostiamo fra i lavorieri della peschiera di Sa Mardini, dove il maestrale soffia diretto e solleva l’acqua in piccole onde. Lo stagno è uno sciamare continuo di ali che sorvolano le ombre dei branchi di muggini. Alberto riesce a scorgere figura e danza del falco, sospeso in osservazione nella nebulosa degli altri uccelli. Poi la picchiata, che la macchina congela in uno sbuffo d’acqua, e nell’emersione priva di preda e zampe. Non è lo scatto che ancora manca, nonostante le infinite ore trascorse in attesa: la figura lanciata in verticale e l’attimo in cui gli artigli colgono nell’esplosione dell’acqua la preda. “Non credo che le mie foto siano particolarmente belle. Non ho particolari velleità, non mi interessa pubblicare nelle riviste specializzate. Mostro le immagini sui social, sono felice se piacciono, imparo quando vengono criticate. Devo conoscere i soggetti che ritraggo, e questo mi ha portato a studiare tanto, a migliorare le mie conoscenze sui libri. Il tempo cessa di esistere quando sono fuori con la macchina fotografica. Attraverso il territorio che amo, lo conosco sempre più a fondo, sentiero dopo sentiero, cespuglio dopo cespuglio”.

L’ultima incursione è ancora per Mistras, dove tre falchi volteggiano alti fra i richiami e una lunga nuvola bianca che pian piano si sfilaccia. Un esemplare si posa su un palo lontano. Una cornacchia gli fluttua intorno gracchiando, pestifera regina dello stagno. “È un tipo tranquillo il falco, nonostante le apparenze. Non reagisce mai”. In una piccola ansa dello stagno si muove claudicante un giovane fenicottero. Frequenta sempre quel piccolo fiordo, come si sentisse protetto. Ormai lo conoscono in tanti, fotografi, birdwatchers, la LIPU locale, con la quale Alberto comunica. Da qualche settimana incontra spesso un falco con una zampa completamente intrappolata in fili e lenze. E un gheppio in passato, torturato dalla necrosi. Ha immortalato nelle immagini tutte le fasi della perdita. Ora il gheppio pirata consuma topi e lucertole su una panchina di legno, in perfetto equilibrio.

“Sono sempre a disposizione per i fotografi nazionali e internazionali che mi chiedono informazioni su luoghi e specie. Anche se non sono tanti. Avremmo bisogno di qualche infrastruttura in più, cartelli, capanni per l’osservazione, pannelli informativi che rendano chiaro comportamento da tenere. Viviamo in una terra magica e sarebbe bello riuscire a condividere i suoi tesori. È ciò che più mi piace della fotografia, la condivisione, la disseminazione della bellezza”.

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