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"Il rifugio del pescatore": nasce l'ittiturismo di S'Ena Arrubia

Il corpo più alto dell’idrovora Sassu, con tutta la sua modernità razionalista, sembra sempre un sommergibile nell’atto di abbandonare la superficie e scivolare nell’abisso. Solo lo stagno di S’Ena Arrubia lo divide dal mare aperto, lo specchio d’acqua quieta accompagnato a sud dalla pineta e a nord dall’alta vegetazione palustre, dove serpeggia la strada sterrata che conduce alla peschiera. Il sole settembrino già esalta le figure immobili dei fenicotteri e degli aironi, i tuffi del fistione e il volo dei gabbiani.
Alberto e Massimiliano si trovano nella “camera della morte”, l’angolo acuto dei lavorieri dove viene fatto convergere e chiuso il pescato. L’acqua copre parte del busto, protetto dalla tuta gommata. Alberto regge la grande rete, mentre Marcello immerge il coppo, tirando su un intrico di granchi sgocciolanti nel quale si dibatte un grosso muggine carico di uova. Massimiliano gli dà una mano a tornare in libertà, poi si avvicina ad Alberto e con precisione chirurgica pinza la lunga chela e con un colpo del polso travasa il primo prigioniero.
“Stiamo liberando la peschiera, altrimenti domani sarà impossibile pescare i muggini”. In pochi minuti vengono riempite cinque reti, un quintale di carapaci e chele che un altro pescatore provvederà poi a issare con un braccio meccanico montato sul parapetto dei camminamenti. Le mani si muovono come intorno al fuoco, “quelle chele sono come lame”. Il callinectes sapidus, o granchio reale, è solo da pochi anni nel golfo dell’oristanese. Arrivato con un passaggio nelle sentine delle grandi navi, è presente ormai in molte sponde del Mediterraneo. È in grado di tollerare gradi di salinità molto bassi e a S’Ena Arrubia, dove confluiscono tre canali d’acqua dolce, “ha messo su casa”, dice Alberto. “Ormai ne abbiamo raccolti tonnellate. Non sappiamo ancora quantificare il danno, se di danno si tratta. Non riesce ad afferrare i muggini e gli altri pesci più grossi. Ma abbiamo trovato molte sogliole e triglie spezzate.  
 
Un pescatore della Cooperativa S'Ena Arrubia Abbiamo deciso di venderlo, anche se non fa parte della nostra tradizione. Arriva a costare fino a 150 dollari al chilo negli Stati Uniti. Noi lo   diamo a 10€”.
Mentre Alberto Porcu, giovane presidente della cooperativa pescatori Sant’Andrea - a cui avevamo dedicato precedentemente un pezzo sul tema -  racconta, una carovana di grosse motociclette percorre la strada sterrata, sollevando una nube di polvere. Pochi minuti dopo è il turno dei ciclisti, la lunga fila trascorre nel ponte di legno che separa lo stagno dal mare. Il panorama è selvaggio, magnifico. Siamo seduti in uno dei tavoli che compongono la sala del nuovo ittiturismo della peschiera, il truck-food della cooperativa: “È parte del percorso di rinnovamento che abbiamo iniziato l’anno scorso. Purtroppo la pandemia ha ritardato la consegna. Era prevista per maggio, mentre il truck-food è arrivato ai primi di agosto. Abbiamo perso quasi tutta la stagione, ma il lavoro di fine agosto e settembre ci dà molta fiducia”.
Due frigoriferi, due freezer, due friggitrici e una piastra per la frittura di calamari, le polpette di muggine e, a richiesta, l’arrosto, che in attesa di un’appendice viene sulla graticola nella casa del guardiano. Birra, bibite, un vermentino locale. Il responsabile è Amerigo, fratello minore di Alberto e Alessandro, incaricato invece dell’ufficio tecnico. Quando il truck-food è operativo, dalle 11.30 alle 15 e dalle 19 a chiusura (spesso dopo la mezzanotte), almeno due soci sono sempre presenti. Con l’arrivo dell’autunno il ristorante mobile si sposterà in piazza Amsicora a Marrubiu, un centro poco distante dal quale provengono tutti i pescatori della cooperativa.
“Abbiamo fatto una scommessa, per il bene della cooperativa ma anche perché crediamo nello sviluppo turistico sostenibile della costa arborense. I passaggi burocratici sono lunghi, ma prima o poi riusciremo a inaugurare un vero e proprio ittiturismo, nello spazio che al momento ospita l’ufficio e la rimessa per le attrezzature”, continua Alberto.  
 “Inizialmente le persone faticavano a trovarci, S’Ena Arrubia è un paradiso nascosto…ma quando notizia e posizione hanno cominciato a girare il flusso è diventato interessante” spiega Amerigo, 31 anni, che ha studiato cinema e Bologna e Los Angeles. La pandemia ha congelato tutti i finanziamenti al cinema indipendente, così Amerigo ha deciso di tornare a casa a svernare. “Abbiamo avuto molti clienti tedeschi, carovane di camper, ciclisti inglesi impegnati nel periplo dell’isola. Molte persone del nord Italia, soprattutto dal Veneto, regione legata ad Arborea dall’esperienza della bonifica. S’Ena Arrubia è un posto speciale, e vogliamo renderlo ancora più bello. Mattina o sera, qui il panorama è unico”. Il toponimo viene proprio dal colore rosso che incendia l’acqua dello stagno (ena significa “ansa”) al tramonto.
La cooperativa, molto attiva sui social networks, si è dotata di un sito (qui per visitarlo) e di un logo (due muggAlberto e Amerigo della Cooperativa S’Ena Arrubiaini rampanti sopra un granchio, rossi) che presto potrebbe diventare l’etichetta dei prodotti elaborati in collaborazione con l’azienda “Blue Marlin” di Mogoro: la bottarga, i filetti affumicati e il paté di muggine, la polpa di granchio e le anguille. Mentre i fratelli Porcu disegnano il futuro della cooperativa, e dello stagno, arriva a bordo di un’automobile un ospite speciale. Un socio sostenitore e fondatore, afferma allegro Albero. È il signor Gemiliano Pusceddu, ex imprenditore edile, 90 anni: “Quando sono arrivato io, nel 1960 non c’era nulla qui, solo una vegetazione altissima. Ho fatto io la strada sterrata che porta allo stagno. Ho dovuto sollevare di un metro e mezzo la terra. Non veniva nessuno, giusto qualcuno a tagliare le canne e i giunchi, per l’artigianato”.
 
*In copertina lo stagno di S’Ena Arrubia
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