“Mi piace remare, anche se è difficile a volte stare in equilibrio. E mi piace lo stagno, vedere gli uccelli e i pesci, le piante” dice Marta Casula, 9 anni, abbandonando per un attimo il lavorio delle mani su un piccolo modello di fassone. Intorno a lei gli altri allievi della scuola di costruzione e conduzione del maestro Marco Pili e di suo figlio Davide, intenti a legare con fermezza gli steli di fieno nella trama che compone la linea ascendente della chiglia.
Marta si riappropria così di un oggetto che popola gli stagni dell’oristanese dall’età nuragica, semplice fieno palustre intrecciato fino a creare un’imbarcazione da pesca utilizzata anche da fenici e romani. “Era il 2007 quando abbiamo deciso di istituire la scuola” racconta Rimondo Cadoni, consigliere comunale di Santa Giusta e uno fra i maggiori promotori della regata che da decenni attira nel piccolo centro vicino a Oristano migliaia di turisti. “È un fiore all’occhiello per l’amministrazione. Rappresenta la continuità di una antichissima tradizione, rinnovata ogni anno con la regata. Quest’anno sette dei partecipanti venivano dalla scuola, e presto vorremmo fare in modo che ci fosse una competizione di sole donne”.
La struttura tradizionale che ospita la scuola nel centro storico di Santa Giusta non è solo laboratorio ma anche museo della pesca. Reti, nasse e bertivelli, uno splendido labirinto da collocare nello stagno per la cattura di anguille, granchi e gamberetti. Fuori, oltre lo spiazzo, la tettoia sotto la quale riposano vecchi e nuovi fassoni, imponenti, ancestrali e ancora appesantiti dall’acqua assorbita durante le ultime uscite.
“Facciamo esercizio di conduzioni quando le condizioni lo permettono” spiega Silvia Statzu, 14 anni, candidata a partecipare alla prossima competizione, prima rappresentante femminile della tradizione da un’intuizione di Ireneo Ledda, scomparso in maggio e primo, quaranta anni fa, a vedere il ruolo dei fassoni e della regata nella promozione del territorio. “Non mi importa arrivare prima, il mio obiettivo è gareggiare con gli adulti. Frequento la scuola da sette anni. Ormai sono capace di condurre e costruire. “Mi è sembrata subito una splendida idea” dice Costantina Tuveri, madre di Marta e Matteo. “È un modo per difendere la tradizione, di prendere parte a una storia. Soprattutto, i bambini si divertono”, aggiunge.
“Il corso dura circa tre mesi, e comincia con la chiusura delle scuole. La pratica avviene sui ciu, le tradizionali barche da pesca a fondo piatto. Il fassone deve essere messo in acqua il meno possibile. I ragazzi cominciano con i remi, e solo in un secondo momento insegno loro la conduzione con su cantoi, la pertica” spiega il maestro Pili. La costruzione comincia con la raccolta del fieno palustre “in notti che non siano di luna piena, perché così suggerisce la tradizione, e noi la seguiamo”. Poi l’essiccazione, che dura tre giorni. Il fieno viene successivamente intrecciato fino a formare lunghi mazzi che costituiscono la chiglia, formata intorno all’asse centrale da un massimo di nove mazzi. Rispetto al modello tradizionale da pesca le sponde sono più basse. La cordatura vegetale è stata sostituta dal nylon. Gli scalmi, nati per la regata, sono di olivastro o erica.
“Ho cominciato a vent’anni a interessarmi al fassone”, racconta Pili. “Io e mio fratello Antonello abbiamo studiato l’oggetto, raccolto le testimonianze e i suggerimenti della popolazione anziana del paese. A Santa Giusta l’arte della costruzione era ormai morta, è ricominciata con noi. I ragazzi mi regalano enormi soddisfazioni. Sono il nostro futuro, il futuro della nostra cultura”.
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