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Il nuraghe di S'Urachi, l'antichissimo melting pot mediterraneo nel cuore delle Terre d'Acqua di Maristanis

Il nuraghe di S’Urachi è un viaggio nel tempo e nel mistero che si disvela, un esercizio da porgere al pensiero per tenerlo attento sulla meraviglia della storia, sul ruolo che questa ha nel presente, sui possibili sentieri del futuro. Il cielo basso e grigio avvolge la campagna di San Vero Milis, le impone un’atmosfera di brughiera. Il nuraghe è un grumo di terra e sassi ricoperti di muschio secco, che si solleva incospicuo accanto alla strada provinciale. Intorno gli alberi spogli, una piccola palude creata dalle piogge insistenti delle ultime settimane, i teli bianchi puntellati dalle pietre che preservano l’ultimo stadio raggiunto dagli scavi.

“Quando il giovane prof. Lilliu e la Soprintendenza decisero di dare avvio ai lavori, nel 1948, questa era una collina. Veniva visitata solo per raccogliere la terra che serviva alla costruzione del paese”, racconta Alfonso Stiglitz, direttore del museo civico di San Vero Milis e archeologo che da quarant’anni indaga, nel golfo di Cagliari e in quello di Oristano, la Sardegna del I millennio a.C e i suoi rapporti con il Mediterraneo orientale. I primi scavi misero in luce l’antemurale, le torri che annunciano, proteggono il nuraghe vero e proprio, interamente coperto di terra. La ricerca venne ben presto interrotta, per riprendere solo negli anni ’80, con alcune campagne di scavo dirette dal prof. Giovanni Tore dell’Università di Cagliari. Poi ancora nel ’95 e nel 2005, quando a prendere in mano la direzione dei lavori sono lo stesso Stiglitz e il dott. Alessandro Usai della Soprintendenza Archeologica. Nel 2013 infine comincia l’avventura di Stiglitz e del prof. Peter Van Dommelen della Brown University, una delle più antiche e prestigiose università americane. Da sette anni, ogni estate si scava per cinque settimane, 25 studiosi converge a San Vero Milis da tutto il mondo. L’obiettivo è quello di ricostruire il microcosmo ambientale, sociale e culturale di Nurachi, centro fondamentale nella lunga stagione nuragica dell’oristanese. “Al centro della disciplina archeologica vivono gli uomini. Muri e cocci servono solo a raccontarli”, afferma Stiglitz.

Perché l’impresa possa essere portata a compimento S’Urachi ospita diverse forme di collaborazione. All’Università di Harvard, interessata allo studio sugli isotopi dell’ossigeno, Stiglitz e Van Dommelen forniscono materiali archeologici emersi dagli scavi, soprattutto ossa umane e animali. Una collezione straordinaria, cui appartiene l’osso di pollo più antico d’Europa, risalente al VII secolo a.C. “Un pollo con una certa dignità”, scherza Stiglitz. Il comune gallo domestico da spiedo ha origini esotiche, viene da India e Cambogia, è arrivato dalle nostre parti grazie ai fenici. Dedicarsi al nuraghe vero e proprio è estremamente impegnativo e costoso. Non basta la piccozza, servono ben altri mezzi per svelare e puntellare l’antichissima struttura. La zona perimetrale, oltre ad essere meno onerosa, custodisce la vita: collezioni di semi, un tronco di quercia dell’VIII secolo a.C, le ceramiche.

La vita nuragica vive sotto i geotessuti, che preservano il lavoro e rallentano la crescita della vegetazione, in modo che a fine giugno si possa evitare la settimana di sfoltimento. Le giornate di scavo cominciano alle 7 del mattino. Alcuni si recano in sito, altri restano al museo, chini sullo studio del materiale. Lo scavo va avanti fino all’ora di pranzo. Nel pomeriggio i reperti vengono ripuliti, i cocci lavati, traslati in disegno. Si compila la documentazione di cantiere. Il gruppo, oltre a essere disposto a sacrificare un membro per spiegare a chiunque si presenti la storia di S’Urachi, organizza nella cornice delle cinque settimane un open day per i curiosi. Una conferenza finale raccoglie ed espone le scoperte estive.

S’Urachi era frequentato anche in epoca pre-nuragica. A dimostrarlo il ritrovamento di diversi frammenti ceramici fuori contesto. Un fatto abbastanza comune per la penisola del Sinis, dove le Domus de Janas attestano la presenza umana fin dal IV millennio. Stiglitz ipotizza che il nuraghe centrale sia stato costruito fra il XV e XIV secolo, e le dieci regolarissime torri che compongono l’antemurale (e rendono S’Urachi simile al celebre complesso di Barumini) appartengano invece al Bronzo Recente, fra il XIII e il XII secolo. La svolta avviene nell’VIII secolo, quando compaionoi primi reperti fenici, e  la maggior parte dei siti nuragici della zona viene abbandonata, ma non S’Urachi. Le ceramiche nuragiche e fenicie, inizialmente distinte per tecnica, forma e decorazione prendono a confondersi, a mescolarsi. Le coppe carenate diventano indistinguibili. “Gli artigiani nuragici sperimentano, non si pongono più il problema identitario. Alla fine del VII secolo e all’inizio del VI gli oggetti di fattura nuragica sono scomparsi. Restano solo i nuovi materiali e le nuove forme. È il meticciato, è nata una comunità che non definiamo né nuragica né fenicia. Io li chiamo sardi, con la S maiuscola”, afferma Stiglitz.

Lo spopolamento cui vanno incontro il Sinis e i territori che abbracciano il golfo di Oristano fa parte di un fenomeno più vasto, che riguarda tutti bacino mediterraneo. Fra la seconda metà dell’VIII secolo e la fine del VII le genti del Mare Nostrum vanno urbanizzandosi, le società tendenzialmente egualitarie scivolano verso la stratificazione. “Alcuni parlano di clan, altri di lignaggi. Io, sommessamente, di classi”, spiega l’antropologo. La città dove progressivamente confluisce la popolazione di S’Urachi è Tharros. A dimostrarlo la presenza del Tophet, il tipico santuario fenicio. Non tutti i centri nuragici sono attraversati dal processo che conduce al meticciato. Nessun reperto appartenete alla cultura urbana fenicia, vecchia di mille anni, è stato rinvenuto a Mont’e Prama.

Da qui la straordinaria rilevanza di S’Urachi, che Stiglitz immagina come crocevia nuragico fra due sponde d’approdo sul mare, Mistras e Su Pallosu, il Montiferru dove si ottenevano ferro e legname, e la pianura messa a coltura. Un centro strategico per produzione e logistica, capace di accogliere le influenze levantine e di seguirle poi nella transizione dell’epoca urbana. Un paradigma affascinante, un mosaico da completare attraverso la ricerca, che procede parallelamente nel villaggio nuragico di Tharros (scoperto negli anni ’70), con la direzione di Alessandro Usai. Fra il mare, la montagna, la pianura e le zone umide: S’Urachi giaceva a poca distanza da Mar’e Foghe, una grande laguna oggi canalizzato in fiume. E poi gli stagni di Cabras e e di Sal’e Porcus. Costruito su una potentissima vena d’acqua che suggerì la costruzione di un fossato con argini davanti all’antemurales. Ancora oggi bastano pochi carotaggi per far emergere la falda. Non temeva l’acqua il popolo nuragico di S’Urachi, né il mare, né i suoi popoli.

Leggi la Relazione sul Progetto S'Urachi: Incontri culturali intorno ad un nuraghe di età fenicio-punica. 

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